EROS E PATHOS – Breve viaggio tra gli amori infelicitanti (2017)

L’assenza dell’altro mi tiene la testa sott’acqua; poco a poco io soffoco, la mia aria si fa più rarefatta: ed è attraverso quest’asfissia che io ricostituisco la mia verità’.
(R. Barthes)

‘Nelle faccende di cuore, invero, ogni insuccesso ha qualcosa che sfiora il gaudio’
(Robert Walser)

Premessa
Ho raccolto queste riflessioni in circa vent’anni di esperienze amorose dirette ed indirette, scegliendo di parlare solo dei momenti no, perché si sa, le notizie cattive fanno sempre più gola di quelle buone. Mi rivolgo alle donne, ma sono riflessioni reversibili anche se lette da un uomo. Ognuno troverà qualcosa della propria vicenda: momenti lirici, amari, ilari, cinici; variegati com’è una pena d’amore, soprattutto com’è l’amore, fatto di una cosa e del suo esatto contrario.
Inutile dire che troverete anche dell’autobiografico: ho collezionato nel tempo un numero di fallimenti sentimentali portentosi, con generi di individui molto differenti tra loro; a causa della mia miopia o della mia debolezza, oltre che dell’illusione tipicamente femminile di poter cambiare certi uomini. Ma una cosa posso dirla: pur avendo attraversato momenti di autentico disgusto nei riguardi delle relazioni sentimentali, non ho mai perso fiducia sia nell’amore che nella capacità che ha la vita di sorprenderci, trasportandoci quando meno ce l’aspettiamo fuori dal guado. Ho anche imparato col tempo a perdonare chi mi ha deluso, perché ho capito che, chi più chi meno, siamo tutti vocati all’errore, per cui tenerezza e comprensione mi sono parse ogni volta più sane del rancore e dell’odio.
Ove possibile, dei miei ex ho conservato l’aspetto positivo, fosse stato anche uno su mille sbagliati.
Durante una pena d’amore, ho cercato di fare amicizia col dolore: non c’era altra via per uscirne. Paradossalmente, è stata pure la meno dolorosa. Sarà successo anche a voi: quando ci si trova smarriti nel deserto, la paura di morire porta a ritenere salvifico ogni appiglio. Ecco allora che il miraggio diventa oasi. Quando però l’emergenza finisce, ci si accorge di quanto piccolo era il deserto: un’orma di sabbia o poco più. Era troppo basso pure il gradino che chiamavamo baratro. Metafore macchinose per dirvi che solo l’amore sa traghettarci dall’altra parte. Solo lui, per dirla con Saramago, ‘converte in fiamma l’ora logora, in mani che donano dita che tolgono.’

1.
LA SCELTA GIUSTA?

Una storia trita e ritrita,  che qui riporto così come è giunta a me.
Chiusa una storia importante di fretta e senza troppa convinzione,  Luca ne ha allacciata una nuova. Gli chiedo se è felice: dice di stare bene. “Sei innamorato?” “No, le voglio solo bene. Si ama una volta sola”. Si è impigrito, è ingrassato, ha lasciato abitudini, sport, amicizie. Ha perso insomma la luce di un tempo, imbrigliato da una rete di abitudini, routine, ricatti psicologici ed orari fissi che la compagna, in perfetto stile gas nervino gli ha stretto al collo, soffocandolo senza dolore e separandolo dalla vita di un tempo, che naturalmente ora lui rimpiange.  Non sapendo più come uscirne, Luca ribadisce che la sua è una scelta di calcolata tranquillità, ma essendo ancora giovane gli mancano eccome certe sane inquietudini che, se un poco sporcano la serenità in cui lui ha creduto (confuso dalla rima) di trovare la felicità, fanno pure la vita meno saporita.
È purtroppo il prezzo che si paga quando ci si arrende troppo presto al rigor mortis di una quiete soporifera, rinunciando al coraggio, alle sfide e a tutti gli imprevisti che ambizioni e passioni forti richiedono per sentirsi vivi. Almeno dopo, amiche ed amici, non lamentatevi. Io la mia idea di sempre non la cambio: le relazioni migliori sono quelle che arrivano solo quando prima si è imparato a stare bene da soli, senza utilizzare le persone che ci mettiamo accanto per lenire il nostro horror vacui. Perché si sa, nei momenti di crisi sarà proprio l’horror vacui a  presentarci un conto amaro.

1.
IL POLIAMORE

Mi trovo sempre più spesso a discutere con amici ed amiche di un concetto che viene a scardinare secoli di convinzioni inveterate sulla monogamia. Il poliamore – neologismo che esprime il concetto di “amori molteplici” – ammette la possibilità che una persona intrattenga più relazioni sentimentali e/o sessuali contemporaneamente, purché nel pieno consenso di tutti i partner coinvolti, in opposizione al postulato della monogamia sociale intesa come norma di base. Ci è stato insegnato che solo una tra tutte le possibili forme di relazione – il rapporto eterosessuale monogamico a vita – è quella giusta, e se usciamo da questo modello facilmente verremo definiti moralmente discutibili, psicologicamente difettosi, se non contro natura; un’artiglieria linguistica che mira di fatto a patologizzare il ventaglio delle nostre capacità performative, sia in amore che nel sesso.
L’ideale della monogamia a vita rappresenta un concetto relativamente nuovo nella storia dell’umanità, che ci rende unici rispetto agli altri primati (ad esclusione di urubù, lupi, gibboni, aquile di mare, albatri, piccioni, tortore, pappagalli inseparabili e cigni). Interpretare un’avventura come segno di malessere all’interno di una relazione primaria è a ben vedere piuttosto limitante, perché costringe il/la partner tradito/a a chiedersi cosa c’è in lui/lei che non va, mentre al traditore/traditrice si fa notare di stare infliggendo un comportamento scorretto al partner primario. Sarebbe però il caso di chiedersi come mai il tasso di tradimento nelle coppie sia molto più alto di quello di fedeltà, anche in coppie in buona sostanza sane. Ma soprattutto come mai, dietro le quinte, ci sia sempre una specie di comprensione bonaria verso i tradimenti, quasi a riconoscerne la naturalità, a dispetto della monogamia, percepita alla lunga come faticosa ed innaturale. Certamente, per entrare nell’universo disorientante degli amori plurali ci vogliono requisiti non comuni: per esempio una profonda sicurezza di sé, massimo rispetto per l’altro e per tutti i suoi desideri. Bisognerebbe essere incapaci di gelosia, di territorialità, di proiezioni, di pretese di esclusività e di controllo, e pure di continue richieste di rinunce a garanzia del sentimento. Di fatto, i legami e i desideri degli individui mutano con l’età e le circostanze, e i rapporti a lungo termine più soddisfacenti sono sempre quelli abbastanza flessibili da poter essere continuamente ridefiniti nel corso degli anni. Forse, allora, legittimare apertamente e reciprocamente certe aperture, non solo ravviverebbe le relazioni primarie, ma consentirebbe di creare una rete di affinità affettive e sessuali molto più generosa ed illuminante di quanto non si sospetti. Dimenticavo di aggiungere che tra il dire e il fare c’è di mezzo il mare, e bisogna vedere alla fine quanti sanno veramente nuotare.

Blaise Pascal diceva: ‘L’amore ha le sue ragioni, che la ragione non capisce’. Amare due persone contemporaneamente è possibile? La risposta istintiva è no: l’amore dona il coraggio di scelte esclusive. Nessuno è completo o perfetto, ma chi ama trova in quell’individuo un’unicità irripetibile, che rende difetti e carenze prove da superare proprio in nome dell’amore. Amare insieme due persone sarebbe quindi come parlare di dittatura democratica.
Si è abituati ad etichettare le storie d’amore parallele come amori fedifraghi, ma amare due persone nello stesso momento è in effetti molto più frequente di quanto si possa immaginare: si chiama polifedeltà. La religione cristiana, la cultura occidentale e la paura dell’abbandono impongono rapporti basati sulla stabilità e l’esclusività della coppia, alimentando indignazione nei confronti del tradimento. Eppure, presupponendo che nella vastità di definizioni dell’amore siano compresi anche i suoi contrari, spesso non solo è possibile amare contemporaneamente due persone, ma pure non ritenere la bigamia una patologia o un vizio. Ci sono persone tendenzialmente monogame, portate cioè a vivere amori unici, esclusivi e totalizzanti, e ce ne sono altre che, diversamente, provano un autentico coinvolgimento sia sessuale che affettivo con più di un partner.
Statisticamente, vivere un doppio amore accade più agli uomini che alle donne. Spesso ci si innamora o ci si infatua di un’altra persona perché nella relazione primaria manca qualcosa, ma pure questo non è sempre vero. Se l’amore non fosse – com’è di fatto – una sorta di deficit cognitivo, saremmo tutti in grado di discernere prontamente, di operare le scelte più giuste, di non commettere errori e di non crogiolarci nel torbido. Ma le cose in questo campo, si sa, vanno sempre diversamente dalle nostre previsioni.
C’è anche da dire che, purtroppo, laddove non esiste chiarezza con se stessi e con chi ci è accanto, chi vive due storie in contemporanea non vive una relazione in più, ma due relazioni deludenti ed incomplete, in cui solo una persona ama due individui, mentre le altre due continuano ad amarne ignare una sola; e queste faccende alla fine, dall’una e dall’altra parte sono fatte solo di limitazioni, di bugie, di sotterfugi continui, di stress e di rancori estenuanti. A quel punto, amici poliamorosi e polifedeli, se ci si accorge che le cose non riescono a funzionare, sarebbe bene affrontare il dolore di una scelta, sedersi con calma e mettere in discussione il rapporto o i rapporti, in modo da capire in che direzione girare il timone, per evitare che il vostro viaggio finisca dritto dritto contro un iceberg.

2.
GLI AMORI INFELICITANTI

È curioso quanto sia variegato l’amore, e come uomini e donne trovino la felicità per vie del tutto opposte. Recenti statistiche sulla felicità di coppia hanno rilevato che il motivo per cui due persone restano insieme nel tempo è nel bisogno di essere amati. Le persone, cioè, troverebbero la felicità più nel ricevere amore che nel donarlo. Non amano necessariamente a loro volta: si legano appunto perché amate. Tra questi individui, molti di amare non sono neanche capaci; offrono il minimo sindacale, cercando per tutta la vita sempre altrove le cose che nessun rapporto al mondo, neanche il più completo, alla lunga può dare.
Ci sono invece quelli che all’essere amati preferiscono amare, e purtroppo capita che, per una crudele compensazione della vita, difficilmente verranno riamati. Sprecandosi a lungo in relazioni infelicitanti, sceglieranno sempre lo slancio del dare a quello del ricevere.
Dimenticavo le coppie in cui entrambi amano e sono riamati, in tutte le forme che dell’amore ci hanno offerto nel tempo poemi, romanzi, liriche ed opere d’arte. Personalmente ne ho conosciute poche. Confondendo la mano con il guanto, più di frequente ci si accontenta di amori sgangherati, finendo per credere normale la miseria del sangue cui l’abitudine costringe.
La verità è che le questioni di cuore sono imperscrutabili, e a nessuno è dato giudicare. Ci si crede incontentabili, ma nella maggior parte dei casi non solo ci si accontenta di molto meno di quanto le nostre ambizioni non ci avessero illusi, ma si riesce pure a sopportare molto più di quanto non si creda. Territori sconosciuti, orizzonti arditi, passioni divoranti, mutamenti radicali, nascite e morti spettacolari. Molta teoria e poca pratica: il cuore dell’uomo è vile: sogna molto, ma poi mette la firma a vita per tenersi stretto il poco per cui batte, per storto che sia.
Che si esca quanto prima da certe pene, che fanno solo più povero il nostro sguardo sulla vita. Quando perdiamo qualcuno, invece di disperarci, ricordiamo questa frase di Ceronetti: ‘Né debiti né rimpianti. Dio ha dato. Anche togliendo ha dato.’ Aggiungerei: ‘Soprattutto togliendo ha dato’.

3.
L’EVASORE SENTIMENTALE

Il tipo di seguito descritto, in cui temo ogni donna sia incappata almeno una volta nella vita, è quello che Franco Arminio ha definito ‘l’evasore sentimentale’: colui che ha una ragazza, una compagna o una moglie, ma che preferisce amare al nero fuori porta, in modo da diminuire l’imponibile affettivo dichiarato.
Maestro eccelso di menzogna pure davanti all’evidenza, questo genere di uomo è di solito un narcisista patologico, che nella relazione primaria sta pure bene ma che, in cerca perenne di stimoli e di conferme, si offre a generi di donne completamente diverse tra loro, per assicurare alla specie umana un’equa distribuzione dei suoi talenti.
Marisa, insegnante, è sposata da 22 anni con Paolo, dirigente d’azienda. Marisa si è accorta che le numerose trasferte del marito per riunioni, convegni ed aggiornamenti erano in realtà rilassanti gite fuoriporta con Lucia, la giovane collaboratrice. Una storia banale, come ne accadono a migliaia ogni giorno in ogni angolo del pianeta.
I primi tempi Marisa si è consumata nel dolore e nel silenzio perché, per capire fino a che punto Paolo volesse arrivare, o forse sperando che la sbornia gli passasse, aveva pensato fosse meglio non sbottare. Aveva pure pensato di sfilare il rosario e di mollarlo su due piedi, mettendolo alla porta. Poi però ha capito che la cosa migliore per separarsi da un fedifrago è restare sul campo. Se infatti avete accanto un compagno bugiardo e avete tempra a sufficienza, non lo dovete allontanare, ma dovete farlo cuocere lentamente nel suo brodo, affinché sia lui a suicidarsi dentro di voi, con la delusione quotidiana che vi procurerà ora per essere continuamente disonesto, ora per essere incapace di affrontare una scelta. Se resterete accanto a quest’uomo, infatti – assistendo alla sua inesorabile disfatta – vi verrà più facile ridimensionarlo, per poi dirigervi altrove, ripulite da ogni residuo abbaglio. Voi, in fondo, lo sapete che non si può amare a lungo un debole ed un bugiardo. Vi siete svendute troppo a lungo per qualche sicurezza a buon mercato, e state ancora lì a piangere non tanto l’amato – deceduto da tempo nella vostra stima e nel vostro sentimento – ma il posto vacante, le abitudini più radicate e i trofei sempre mediocri dell’Ego. L’Ego ferito, deluso, tradito: è sempre lui la causa di tutte le guerriglie e di ogni rappresaglia che, si sa, distraggono sempre dalla vera causa per cui si era iniziata una battaglia. Che tante volte nemmeno valeva la pena di essere combattuta, o che si era persa da tempo senza che neanche ce ne fossimo accorti. All’improvviso, però, arriva il momento in cui ci si accorge che tutto ciò che si credeva di desiderare, per cui si era lottato e per cui tanto e così a lungo ci si era accaniti era estinto da tempo: fantasma convincente, apologia del minuscolo, tremore di miraggio vagando nel deserto.
C’è anche da dire che non ci si arrende quasi masi per convinzione, ma per sfinimento.  Solo allora finalmente si passa avanti.

4.
TRADIRE

Alzi la mano chi nella vita non ha mai tradito o non è mai stato tradito: storie diverse, ma in fondo tutte simili tra loro. Esprimo la mia idea al riguardo.
Punto primo: esiste un momento particolarmente delicato quando una relazione entra in crisi, in cui entrambi dovrebbero avere la forza di capire se quel percorso di anni può essere salvato. A meno che non sia proprio tutto da cestinare, si tratta di rispetto per il vissuto comune – oltre che del proprio compagno o della propria compagna – tentare di rivitalizzare quanto in una relazione è rimasto vivo. Per questo, in un momento di difficoltà, bisognerebbe avere la capacità di dire di no a chiunque, entrando nella nostra vita sa offrirci lo svago, la freschezza e la novità che una storia in tempesta per sua natura non può dare. Cambiare aria solleva, ma aiuta davvero a vedere le cose con la lente giusta? In poche parole, le situazioni torbide ed irrisolte tali restano, e i legami in bilico, se non troncati di netto immediatamente, non si sciolgono mai come ci si illudeva dovesse accadere.
Punto secondo: un tradimento (sia inflitto che subito) può contenere, oltre a quelli dolorosi, anche aspetti edificanti? Penso di sì. L’errore più comune che in buona fede chi ama commette, consiste in una consegna assoluta al partner, memore di quella simbiosi indifferenziata che risale per alcuni al mito platonico dell’androgino separato, per altri alle fasi iniziali del rapporto con la madre o coi genitori più in generale. Per questo, è paradossalmente più forte e duraturo il rapporto tra due partner che hanno sperimentato e superato una separazione. Se in una coppia desideri idealizzanti, proiezioni ed aspettative hanno privato entrambi della percezione reale dell’altro, il tradimento irrompe chiamando in causa la necessità di accettare l’imperfezione nostra e di chi ci è accanto. Lo scriveva in qualche modo Roland Barthes: ‘Tale è la ferita d’amore: una piaga radicale che non riesce a rinchiudersi, e da cui il soggetto scivola via, componendosi come soggetto proprio in questo fluire’. Insomma, anche accettando le contraddizioni, le ombre, l’incomprensibile, il dolore, il lutto e l’abbandono, è possibile sviluppare in modo pieno e creativo il proprio sé nel mondo, nel tentativo di aprirsi alla misteriosa complessità della vita.
Punto terzo: è possibile recuperare veramente un rapporto dopo un tradimento? A parte il crollo rovinoso dell’autostima, la cosa più faticosa è fare i conti con chi ci ha delusi; è vedere spegnersi verso quella persona la fiducia, la stima ed il trasporto, che durante la mistificazione d’amore ci avrebbero indotti ad ogni genere di sacrificio. È affrontare il peso del disincanto che, comunque andranno le cose nella vita, lascerà sempre intatto il cratere generato dalla caduta. Se c’è stato un tradimento e chi ha deluso avrà saputo ricostruire ciò che è andato distrutto, e se ovviamente c’è ancora amore, tutto può essere recuperato, certo con cicatrici che restano, ma si può ricominciare. Ma se questo non succede si finirà distrutti dall’amarezza, dalla rabbia, dai rancori e dalla disistima, fino a quando gli eventi della vita, il tempo e la dimenticanza non avranno fatto il loro corso. Meglio a quel punto perdersi, affinché le ferite asciughino, per venire ricoperte da una pelle nuova. Intelligenza emotiva, tra le altre cose, è proprio capire quando continuare a lottare e quando dover lasciare andare. C’è un tempo in cui, amando, si scalano le rocce a mani nude pur di raggiungere il riparo sulla vetta. Ma arriva anche il momento di comprendere che nulla può nascere con lo sguardo rivolto all’indietro, e se davanti non c’è più mare, né aria né nuove rocce da scalare, quello è il tempo dell’addio. Quanti amori sembrano muoversi ogni tanto, ma sono solo cadaveri che dondolano appesi ad un cappio? Il tempo seppellisce i morti, tumulando insieme ai loro corpi anche ciò che non diedero e che non furono mai. Con una carezza indulgente.

5.
È colpa della natura occuparsi solo delle parti basse del corpo: il sentimento le interessa poco. Meglio la violenza, più adatta all’esistenza delle sue creature, che vivono più forti se lontane da sensibilità, attaccamenti, attitudini speculative ed astrazioni varie. Se infatti la natura avesse avuto interesse per tutto questo, avrebbe fatto in modo che ci innamorassimo dei nostri migliori amici o di persone adatte a noi. Fin da piccola ho creduto in un’idea dell’amore romantica, fatta di tenerezza, armonia, condivisione e capacità di sacrificio; colpa dei romanzi, dei grandi poeti letti e delle canzoni ascoltate. Alla dolcezza soprattutto ho creduto e credo, più che alla passione, perché duratura negli anni e più brava a superare le avarie del percorso. Ma la natura degli uomini mi ha smentita nel tempo, insegnandomi che è più utile imparare a stare bene da soli, trovando in sé completezza e pace.
Nell’attesa dell’amore, dedicati al mondo grande che ti vive intorno. Dedicati al luogo in cui vivi: non è poco avere un paese e quattro mura tra cui tornare, in compagnia dei tuoi molti cammini. Dedicati soprattutto a te: il tuo corpo è la tua casa sul ponte; prenditene cura finché ci abiti e finché dura. Bisogna imparare a fare ciò che amiamo, sapendo che se non esiste qualcuno con cui condividerlo, il nostro bene non va sprecato, così come non sono vani i frutti maturi sull’albero solo perché la mano dell’uomo non li ha colti. Se l’altro manca, era qualcuno che doveva andare. Nel posto sgombro, adesso il vuoto si fa pieno. Piccole cose sostanziano il cammino solitario di ogni giorno, e quando le azioni compiute sono ricche di uno sguardo aperto sulla vita, l’amore celebra in modo più onesto i sui capolavori.
Mai trattenere ciò che deve essere lasciato andare: ciò che è caduto era morto da tempo, mentre ciò che vive si trasforma e resta. La vita non dimentica nessuno, preparando sempre nuovi fuochi e nuovi ripari.

6.
Lui sta con te ma sta ancora con la sua ex. Lui ti ha lasciata per una tua amica. Lui ti promette da una vita di lasciare moglie e figli, ma non lo fa perché la moglie non è preparata, i figli andrebbero in depressione e bla bla bla. Insomma, le solite storie da rotocalco di cui si sghignazza dal parrucchiere, e che nessuna pensa mai possano capitare a sé. Di fatto, prima o poi le prove arrivano per chiunque, secondo un criterio di perfetta democrazia, che prescinde da età, aspetto esteriore, cultura, bontà, cattiveria, ricchezza e povertà. Considerando l’ipocrisia del genere umano e le sottili crudeltà di cui sono capaci soprattutto i commiseratori, troveremo compagni inattesi, ma pure molti la cui cattiveria sarà pari solo alla loro stupidità. Per il resto, è bene ricordare che nei momenti cruciali della vita si è sempre soli.
L’etimologia della parola ‘crisi’ deriva dal verbo greco krino: separare, cernere; in senso più lato, discernere, giudicare, valutare. Nell’uso comune, la parola assume un’accezione negativa, riferita al peggioramento di una situazione. Ma se riflettiamo sulla sua etimologia, possiamo coglierne la sfumatura positiva; la crisi diventa cioè momento indispensabile di riflessione, di valutazione, di discernimento e di cernita, trasformandosi nel presupposto necessario per un rifiorire prossimo. Se si ha la capacità di abbracciare con coraggio il dolore, ci saranno momenti in cui il grazie per la pienezza della vita sembrerà sempre troppo piccolo, per quanto è generoso quello che ogni giorno verrà offerto di nuovo. Ci accorgiamo così che di tempo ne abbiamo tanto, per assetti impensati e nuove messe a fuoco. Il tempo adesso serve a noi. Quello per gli altri arriverà, e ci vuole interi. Deve darci forza questo, che sempre nella vita le cose che ci parevano immense erano solo poco più che grandi. Chiuso un amore infelicitante, non dovremmo commettere mai il peccato di dire: ‘Non amerò mai più’. E smettiamo pure di cercarlo un altro amore quando una storia è finita. L’amore non si cerca: ti trova. La vita ha di bello che in una manciata di ore sa ripulire lo sguardo e distendere gli orizzonti. Fa guardare avanti, ma sa pure mostrare quanto tempo si era perso per noia, ego ferito e paura, chiamando ‘case’ trincee che contenevano solo i morti di una guerra tra poveri.

7.
Quando un percorso si chiude, ha poco senso guardarsi indietro. Anche con qualcuno accanto, il cammino in fondo si fa sempre da soli, in se stessi attraverso l’altro. Ripensando con attenzione agli inizi della via, non sarà difficile ricordare che le indicazioni sbagliate erano esatte da principio. Ma noi, abili a confondere la luna col lampione, abbiamo voluto proseguire, sbagliando sempre meglio.
Dopo ogni fallimento, viene facile parlare male del nostro ex. Ma quando sparliamo di chi un tempo abbiamo amato, parliamo male anche di noi. Certo, sfogarsi aiuta a liberare tossine. Ma abbiamo scelto noi quella persona, e se siamo andate a piantare banani nella tundra, anche noi siamo responsabili del fallimento. Avremmo dovuto chiederci cosa ci è accaduto in un tempo antico, quando si è formata per la prima volta e per sempre la nostra idea dell’amore. Avremmo fatto bene ad incolpare noi della pigrizia con cui abbiamo scelto persone con cui fosse facile primeggiare o comodo essere sottomessi. Nostra è la colpa di transfert, fantasie fusionali e desideri inappagabili, per realizzare le quali abbiamo utilizzato l’altro a mo’ di schermo. Allo stesso modo, specie se si è stati traditi, non ha alcun senso pensare di tenere legato a noi il traditore con sensi di colpa, ingiurie, recriminazioni, o con le nostre patetiche perdite di decoro e dignità. Si sta insieme per anni, si condivide tanto, se non tutto. Poi arriva un momento segnato da un episodio apparentemente insignificante, in cui ci si accorge che ogni cosa era già così lontana, perduta. E noi a chiamare ‘corpi’ i calchi lasciati nella cenere da chi era rimasto sepolto dall’eruzione.
Bisogna essere grati al tempo, che al momento giusto ci rivela come le persone che una volta ci furono care sono diventate altre persone, e che in nessun modo è possibile né sano tornare indietro. Le nostre paure furono eccessive, le pene troppo più grandi della nostra capacità di credere e di sperare. Talvolta capita che qualcuno torni dal passato a tenderci le mani, ma noi le stringiamo solo per rivolgere loro il saluto gentile che si deve a chi amammo.
Bisognava svegliarsi prima. Soprattutto, bisognava prestare più attenzione a cosa significa veramente fare l’amore. Penso spesso a questa espressione, riferita all’atto con cui il mistero di amarsi prende corpo e si fa carne unita.
Si pensa sempre poco, però, al fatto che fare l’amore vuol dire soprattutto operare una costruzione che consenta alla natura volubile del sentimento, se non di durare in eterno, almeno di stare in piedi a lungo. L’amore chiede azioni concrete, sacrificio, scelte, pazienza, volontà e grazia. E questo piace a pochi, perché l’amore a quote medie, è fatto soprattutto di confini territoriali e di piccole amputazioni. Le incomprensioni richiedono rammendi dispendiosi, l’orgoglio non dimentica. Il più delle volte è solo l’amore che si ama, poi si va a cercare qualcuno in cui riporlo, e talvolta si ha persino la fortuna di incontrarlo calzante a pennello. Altre volte, invece, la nostra collezione è ricca solo di abbagli. Finite infatuazioni e passioni giovanili, amare è fatica di ogni giorno, è portare pesi fermandosi un passo prima del precipizio. Ad ogni incomprensione reciproca, dissipiamo giorni interi a dare di noi solo la faccia brutta e le mani spente. Io donna e tu uomo siamo razze diverse dentro la stessa specie, e il più delle volte non ci capiamo. La mia vita e la tua sono fatte di sensibilità differenti e di strade già battute. Poi ci siamo incontrati, scegliendoci tra molti altri. Esisto io ed esisti tu, ma esiste pure il noi, che deve arricchirci oltre l’uno che anche insieme ciascuno continua ad essere. Per stare insieme, a volte persino l’amore non basta. Ci vogliono piuttosto intelligenza e umanità, rispetto e delicatezza, distanza e delicatezza. Bisogna pure avere imparato a stare bene da soli. Molti confondono la mano con il guanto, facendosi una fredda compagnia nel cratere della vita. Ci si accontenta così di amori sgangherati e di sterili alleanze. Per debolezza e per speranza, abbiamo creduto normale lo squallore cui l’abitudine ci aveva costretti. Guardandoci allo specchio, abbiamo notato una pelle stanca intorno agli occhi. Sono gli anni? No: è la distrazione, la mancanza di desiderio, o peggio ancora l’indifferenza di chi ci era accanto, a farci vecchi prima del tempo. Noi donne soprattutto proviamo dispiacere e rabbia per quegli uomini che, per ragioni antiche, passano la vita in una bolla di gelo. Se colpiti non sanguinano, se uccidono non vedono il cadavere. Sono quelli che negli incubi ti camminano davanti, dandoti le spalle. Stai annegando o qualcuno vuole ucciderti, e tu chiami proprio loro, pregandoli di voltarsi e di tornare indietro. Ma non si voltano, sordi e lievi come i morti. Si crede di aiutarli con la pazienza e la dolcezza, questi uomini infelicitanti. Ma bisogna pure arrendersi al fatto che la loro natura vince sul bene a cui è indifferente, e sull’amore a cui non è vocata. Restiamo a guardarli mentre vanno altrove come viaggiatori smarriti, chiedendosi se esiste veramente un posto dove andare, se è proprio quello il luogo in cui voglio stare o da cui vogliono partire; se le cose fatte e le persone amate sono parte della vita, e non un tremore d’aria che si leva lontano da strade vuote.

8.
A Sgorby, la mia colomba, è andata così: quando da piccola aveva bisogno di una madre ha trovato me, quando da adulta cercava un compagno, ha trovato ancora me. Non c’è stato verso di lasciarla in natura, né di farle piacere i vari piccioni che le ho presentato, per farla accoppiare. In una forma speciale, siamo a modo nostro una coppia: lei un piccione, io un essere umano. In fondo, agli umani non va poi così diversamente, solo che tra animali lo chiamiamo imprinting; tra noi, anche se spaventosamente dissimili, lo chiamiamo amore. Arrivo al punto: amiche ed amici si sono sempre prodigati nel tempo per farmi conoscere uomini a loro parere adatti a me: quello è sportivo come te, quell’altro ha i tuoi stessi interessi culturali, quello ha la tua stessa forma mentis, quell’altro ancora i tuoi interessi, ma di fatto con questi uomini non è mai scattato nulla. È che non funziona così. Non sono similitudini e virtù a farci innamorare; se così fosse ci innamoreremo tutti dei nostri migliori amici o di chi più stimiamo.
Le ragioni dell’amore restano incomprensibili, agendo per vie misteriose, come quelle che presiedono all’ispirazione o alla nascita dei grandi capolavori. E più si tenta di spiegarle quelle ragioni, più l’amore si impoverisce, finendo come una medusa sulla sabbia.
Pensando ad un uomo, non ho mai cercato i requisiti suggeriti in buona fede dai miei amici. Molti di quelli che conosco hanno scelto accanto un compagno o una compagna per non dover più stare da soli, confondendo la relazione con la compagnia. Ma io ho sempre seguito e tuttora seguo altre rotte. Per motivi vari – e qui tornano le misteriose ragioni dell’amore – mi sono spesso legata ad uomini che si sono rivelati infine carenti o troppo fragili. Ma non ho rimorsi né rimpianti: il bene e l’amore non vanno mai sprecati.
Perché ero rimasta? Per quella strana forma di sacrificio o di poco bene verso di sé, che pure dicono far parte dell’amore; o per il vizio che hanno le donne di pensare ogni volta di poter educare, trasformare, ricondurre in porto, vizio che chiama ‘bene’ solo uno sguardo miope sulla natura essenziale dell’altro.
Perché me ne sono andata? Perché non era più possibile mungere pietre.
Dell’amore conservo un’idea alta e nobile. Quello in cui credo è un sentimento grande, che sappia far luce in ciò che di me ignoro, verso un’appartenenza più rotonda al mondo e alla vita.
Non è forse questo, chiedo, l’Amore?

9.
Di mattina il paesaggio, la campagna, le colline e l’incarnato delle case, sono epifanie di tutti i disegni dell’infanzia. Basterebbe scavare in ogni dettaglio per trovare peccaminosa la malinconia. Di pomeriggio, che si torni negli stessi luoghi, evitando tristezze al tramonto. Dinanzi alla perdita di qualcuno o di qualcosa, non bisognerebbe mai pregare perché le cose vadano in un modo piuttosto che in un altro. Più onesto sarebbe chiedere che, comunque vada, non diventi amaro il nostro sguardo sul mondo; soprattutto che non smettano mai di indicarci bellezza le cose e le persone intorno. Fare amicizia coi cambiamenti è intraprendere un viaggio a latitudini differenti tra geografie impensate. Né diminuzione né danno, ma alterità da vivere in pienezza, di nuovo e per la prima volta.
Osservo due tortore che cercano di fare il nido tra l’infisso della finestra al secondo piano e l’asfalto del marciapiede in basso, ma la cosa non sembra preoccuparle. In ordinata armonia, scendono a turno in picchiata in cerca di ramoscelli, che puntualmente ricadono nel vuoto, è giù di nuovo a recuperarli per dare forma al fragile riparo che prepara alla vita. È sempre dalle semplici creature della natura che ho colto nella vita gli insegnamenti più importanti, come questo: l’amore è un’energia che vive quando, come e dove vuole; per cui farsi troppe domande è solo un modo per bloccarne il corso e la potenza. A volte basta uno spiraglio socchiuso, attraverso cui s’infilano giovinezze d’animo e tutti i desideri maltolti, e ogni cosa ha di nuovo meravigliosamente inizio.
Niente paura dunque, amanti infelici.

Foto: Eliana Petrizzi

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