19 Set ‘Eliana Petrizzi: quando il paesaggio è dentro di noi e riflette uno stato d’animo, ed ogni opera appare il diario di un barometro interiore’. Di Andrea B. Del Guercio
La casa-studio di Eliana Petrizzi si allarga a trecentosessanta gradi su un paesaggio in cui l’estesa valle di Montoro si vede circondata tra aree collinari e non troppo alte alture, per poi degradare verso l’apertura, solo intuibile, della costa; nulla si perde di una circonferenza avvolgente che né chiude né isola lo sguardo, a cui è data la piena libertà di viaggiare alla maniera del pensiero di Leopardi, di inseguire un proprio pensiero visivo, di riconoscere attraverso il colore gli stati d’animo del giorno vissuto, così che ogni opera appare il diario di un barometro interiore.
La dimensione ambientale specifica, con il valore della sua intensità, ma anche felicemente comune ad un’infinita documentazione paesaggistica distribuita sul pianeta, induce Eliana Petrizzi ad operare attraverso una frequentazione assidua, percepibile lungo quel tracciato concettuale che solo la luce è in grado di espletare scavalcando la dimensione naturalistica. La luce, come filtro fotografico, si inserisce nella descrizione del paesaggio optando attraverso variabili cromatiche, ora diversamente distribuite tra i selezionati dati incontrati dallo sguardo, dal degradare collinare verso il piano – verde che diventa nero – all’effetto metereologico atteso in lontananza – tutto è rosa – all’eccesso elettrico – il rosso che passa al nero – del pensiero emozionale che si afferma optando per la significanza dei monocromi che tangibilmente tutto rivestono.
La relazione con il linguaggio fotografico appare una scelta mirata nel processo di astrazione che Eliana Petrizzi conduce sul paesaggio e che riversa anche nella ritrattistica, di cui acquisisce ed estende ancora la portata concettuale lungo il processo di trascrizione tra l’immagine esterna e quella interiore, dando vita ad un’opera che testimonia l’autonomia espressiva dell’arte.
All’interno della vasta e articolata storia pittorica di Eliana Petrizzi e più ampiamente artistica, se si osservano le sue numerose attività creative – la conoscenza dell’oreficeria e l’impegno nella dimensione culturale della scrittura – parallelamente alla cultura del paesaggio, si affianca un approfondito lavoro dedicato al ritratto, a sua volta consegnato agli strumenti analitici e non descrittivi del colore-luce; si impone un processo di indagine conoscitiva teso e dedicato alla sostanza psicologica del soggetto nel momento in cui incontra la pittura, in cui si allontana dall’immediatezza del dato reale per entrare nella sfera atemporale dell’arte, inserendosi nella sua storia colta attraverso la ritrattistica greco-romana e da questa tornando al presente, senza distinzione né di tempo né di valore culturale. Si avverte quel processo luminoso, oggi dimenticato dal processo digitale, in cui in camera oscura si qualificava la magica affermazione dell’immagine. Un processo che ci riconduce a quella cinematografia che vede coinvolti Michelangelo Antonioni di ” Blow-up” del ’66 – si pensi al verde assoluto di quel prato in cui tutto ha inizio e si conclude, si pensi al rosso che contrassegna la locandina del film e che appartiene alla storia stessa della camera oscura – ad “Arancia meccanica” del ’71 di Stanley Kubrick, a Wim Wenders di “Paris-Texas” dell’84 in cui un ‘abitino’ tutto rosso tutto assorbe, tutto condiziona.
D’altra parte, il progressivo passaggio che conduce il colore alla dimensione della luce, perfettamente osservata e percepita in una specifica cinematografia, segue un processo storico che in epoca moderna si muove nella dimensione aformale attraverso quell’arco che coinvolge William Turner agli Impressionisti ed ai Fauve, che si afferma attraverso la propria indipendenza con Mark Rothko, che prima lambisce e poi si sofferma nell’estensione della cultura Pop, per giungere a Bill Viola in “The greeting” del ’95, da cui, a sua volta, veniamo riaccompagnati verso e attraverso la “Visitazione” del Pontormo del 1530 al patrimonio della storia dell’arte; ci troviamo in presenza di paesaggi e volti in cui, come passaggi del testimone, tutto si rapporta e si contamina, permettendo all’artista di agire in termini di personale soggettività espressiva.
Eliana Petrizzi: when the landscape lies within us, the image of a state of mind, and every work of art is the logbook to an interior barometer.
by Andrea B. Del Guercio
Eliana Petrizzi’s house and studio looks out on a three hundred and sixty degree view of the vast Montoro valley, surrounded by hills and upland, then sloping towards the barely discernible opening of the coast; laid before us is an all-enveloping “circumference” that neither closes nor isolates one’s gaze, which is allowed “wander” with the same freedom of Leopardi’s poetry, to pursue its own “visual though”, to recognise the moods of the day by their colours, so that every work of art becomes the “logbook” to an interior barometer.
The specific environmental dimension, through the value of its intensity, but also happily shared by the endless landscape documentation from all over the world, brings Eliana Petrizzi to work in close contact with her subject. By doing so, she follows the conceptual path which sees light as an agent to overcome all naturalism. Light, much like a photographic filter, contributes to the definition of the landscape by bringing chromatic variables into play, variably distributed among the select data intercepted by our gaze: the hills declining into the plane — green that turns to black —, the atmospheric perspective that turns everything in the distance pink, and the electric excess — red turning black — of emotional thought that affirms itself through the tangible monochrome masses and all they come to cover.
The relationship with photographic language appears to be a pondered choice within the process of abstraction that Eliana Petrizzi applies to landscapes and portraiture, a genre from which she draws and extends the conceptual scope through transcription, between the external and internal image, giving life to works that prove the expressive autonomy of art. Just as Eliana Petrizzi’s work is not limited to painting, as she is skilled in jewellery-making and commits herself to the cultural dimension of writing, she explores portraiture alongside her landscape works. Here she relies on the analytical and non-descriptive tools provided by colour and light; a process of cognitive investigation is focused on the psychological substance of the subject the moment they come into contact with the painted world, moving away from what is real and exact and entering art’s timeless realm and its history, from Greco-Roman portraiture to the present, making no distinction of time and value.
This “luminous” process, “forgotten” in today’s digital techniques, was part of that magical affirmation through which the image was qualified in the darkroom. A process that takes us back to Michelangelo Antonioni’s cinematography in “Blow-up” (1966) — think of the absolute green of the park where everything begins and ends, or the red of the film’s poster, the same that dominates darkrooms — or that of Stanley Kubrick in “A Clockwork Orange” (1971), or Wim Wenders’s in “Paris, Texas” (1984) in which a red dress is able to absorb and condition its surroundings. On the other hand, the progressive passage that leads colour to become light, perfectly observed and perceived in a select cinematography, follows a historical process that mainly focuses on informal movements; we can trace an arc in modern history that involves William Turner, Impressionism, Fauvism, and is most freely interpreted by Mark Rothko, who first touched upon and then dwelt on an extension of Pop culture, until we reach Bill Viola in “The greeting” (1995), who leads us back to and through Pontorno’s 1530 “Visitation” and all the history of art. We find ourselves in the presence of landscapes and portraits, in which, as a way of passing on the torch, everything comes into relation with itself, giving way to contaminations that allow the artist to act through their own personal expressive subjectivity.